San Nicolò Politi

San Nicolò Politi

Fonti documentali

Come detto nella premessa, il gesuita padre Ottavio Caietano raccolse la vita dei santi siciliani, nell’opera intitolata “VITAE SANCTORUM SICULORUM”: nei fogli 180, 181 e 182 è riportata la vita di San Nicolò Politi di Adernò.
Egli inoltre, nelle “Animadversiones In Vitam S. Nicolai Eremitae”, al foglio 62, ha voluto precisare le fonti, dalle quali ha attinto le informazioni necessarie per la stesura della vita del Santo. Tali fonti furono gli scritti del monaco basiliano teologo Cusmano, confessore del Politi, e altro autore, dal Caietano ritenuto molto attendibile.
Questi documenti, assieme all’inno in codice greco, dopo tradotto, composto dallo stesso Cusmano, furono ritrovati nella chiesetta del convento basiliano di S. Maria del Rogato, dove il nostro Santo si recava assiduamente per partecipare alla celebrazione dell’Eucarestia, e dove, per oltre tre secoli, riposarono le spoglie mortali dello stesso.
Oltre alle fonti sopraccitate, al Caietano giunsero altre fonti in cui si raccontavano i miracoli attribuiti al Santo.
Il testo del Caietano riporta la data della morte di Nicola, avvenuta nel 1167; non riporta invece la data di nascita, perché il gesuita, non trovando corrispondenza fra i due autori, ha preferito ignorarla. Infatti il Cusmano afferma che la nascita avvenne nel tempo in cui regnava il gran conte Ruggero, mentre il secondo autore attendibile asseriva, insieme ad altri, che il Santo fosse nato nel periodo del Re Ruggero figlio del gran conte.
Ora, se si fa riferimento al primo Ruggero, appare evidente che il nostro Santo sia dovuto nascere prima del 1101, anno di morte del gran conte; mentre, se si fa riferimento al secondo, la data presumibile di nascita è collocata nell’anno 1117, che i diversi autori hanno ritenuto probabile.

 

Nascita

Qualunque sia la data, Nicola nacque di certo da “genitori non infimi”, gente benestante della famiglia Politi, ricca di beni, ma sterile e desiderosi di avere un figlio.
Questo era il solo loro desiderio, quello di avere un figlio: a seguito di numerose preghiere, dice il Caietano, e secondo le parole del Vangelo “chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”, poterono be-nedire e ringraziare il Signore per aver dato loro questo figlio, che chiamarono Nicola. Così Nicola fu figlio unico e nato per grazia ricevuta.
Secondo la tradizione, non appena venuto al mondo, Nicola diede il segno della sua santità, tramutando in sorgente il posto dove la levatrice gettò l’acqua dopo aver lavato il piccolo corpicino. La sorgente è tutt’oggi esistente nella cappella a destra della chiesa consacrata al Santo: chiesa a lui dedicata sin dal 1670. Di questo miracolo non sussistono elementi probatori per definirlo tale: questa è soltanto tradizione popolare. Però nei testi consultati è affermato che Dio ha permesso che quest'acqua, usata con fede, sovente operasse guarigioni miracolose.

La famiglia e la provenienza

Nelle pagine precedenti non a caso si sono presentati dei cenni storici che illustrano la situazione della Sicilia, in quel tempo di inizio millennio: come ha affermato lo storico Michele Amari, la prevalenza dell’elemento greco nel XII secolo era dominante in tutta la Val Démone. All’estremo limite meridionale di detta Valle era la città di Adernò, la cui popolazione, sicula di fatto, era, per influsso della precedente domi-nazione bizantina (535-827), diventata greca di lingua, di religione e di costumi.
Non esistono prove documentali per affermare , come fa un autore, che il Santo fosse figlio di conti al servizio dei Normanni: affermare questo non è corretto. Si può solo affermare che i suoi erano dei benestanti, o di origine greca o sicula; ma, quasi certamente, di lingua, religione e costumi greci, come la maggior parte allora del luogo.
I nomi dei suoi genitori, Almidoro e Alpina, sono comparsi solo dopo il 1709: infatti il Surdi, che pub-blicò in quell’anno, ignora ancora i nomi e parla solamente della nobile famiglia dei Politi di Adernò.
Il rev. prev. Salvatore Petronio Russo, nell’anno 1880, nella nota n. 38 della sua opera dedicata al San-to, cita testualmente: “Beatus Nicolao in Adernione ex Almidoro et Alpina Politorum familia natus est”; ed afferma che i nomi Almidoro ed Alpina sono stati da lui trovati, aggiunti a mano, nella copia del Caietano che trovasi nella biblioteca del convento dei cappuccini di Adrano. Detti nomi pertanto non possono essere attendibili: infatti, se si fossero saputi prima, il Caietano li avrebbe sicuramente citati, come ha citato altri nomi propri di persona nella vita del Santo da lui curata.
La famiglia di Nicola è vissuta ed ha educato il figlio secondo gli usi e i costumi del tempo, tanto che Nicola scelse come suo punto di riferimento spirituale il monastero basiliano di S. M. del Rogato, che era di rito greco.

Infanzia e Adolescenza

Come fu prodigiosa la nascita di Nicola, così fu ammirabile la sua infanzia, perché, ancora nelle fasce, il mercoledì, il venerdì e il sabato rifiutava il latte. Contrariamente agli altri bambini, egli in quei giorni piangeva se la madre gli metteva in bocca il frutto del suo seno.
Da bambino, ci tramanda il Cusmano, egli fuggiva i peccati come serpenti, ma specialmente aveva un grande amore per la purezza. Nel conservarla intatta egli si mostrò più forte di Sansone, più prudente di Davide, più sapiente di Salomone, che caddero così miseramente, da fare esclamare al grande genio di S. Agostino: “Ho visto che per la pestifera lussuria sono caduti i cedri del Libano e i duci degli eserciti!” Questo particolare viene fatto risaltare dal Cusmano, nella parte finale dell’opera, quando dice: “…infatti sei vergine di mente e di corpo”. Con questa frase, il Basiliano conclude l’inno, e presenta Nicola, come un segno per tutti e un modello da seguire. Nicola, col suo esempio, ci invita a seguire quei valori che la nostra società, superficialmente cristiana, sta trascurando ed emarginando sempre più, in nome di un malinteso progresso, che progresso non è, perché la liberalizzazione degli istinti nella storia ha sempre seguito i periodi di molto avere materiale ed ha causato la decadenza delle società. Il risveglio di un vero senso cristiano, con le virtù conseguenti, può diventare salvezza per la sociatà e per la persona umana. Nicola, come vero credente in Cristo, è stato scelto per essere segno in Cristo, santo ed immacolato nell’amore.
I genitori di Nicola dovevano certamente compiacersi nel constatare che i semi della virtù, impiantati nel cuore del figlio, davano copiosi frutti. Tutte le attenzioni, essendo il ragazzo figlio unico, erano rivolte a lui, e miravano a che egli progredisse nelle virtù e negli studi. A tal proposito il Caietano scrive: “fu affidato a dei maestri, dai quali fosse istruito nelle lettere”.
Chi siano stati realmente tali maestri non è precisato dal documento. Un agiografo recente ipotizza che il Santo sia stato affidato al “monastero benedettino di San Nicola, a Catania”. Ma questo è storicamente im-possibile: infatti, nel periodo dell’adolescenza di Nicola, il monastero dei Benedettini di San Nicolò in Cata-nia era una gràngia greca, che è stata donata nell’anno 1156 dal conte Simone di Paternò al monastero be-nedettino di S. Leone di Pannacchio. Se si considera che nel 1156 il Santo si trovava già da diciannove anni nell’eremo sotto il monte Calanna, presso Alcara Li Fusi, si deve escludere che egli possa essere stato edu-cato in tale monastero, che non era ancora. Solo in seguito l’abbazia di S. Nicolò assorbì tutte le case bene-dettine dell’Etna, divenendo, in ordine di grandezza, la seconda in tutto il mondo.

 

Fuga dalla casa paterna

Quando Nicola compì il diciassettesimo anno di età, i genitori, già avanzati negli anni, temendo che sarebbero morti senza aver visto il loro figlio accasato, si premurarono di dare una famiglia al loro unico fi-glio. Quindi si adoperarono in tal senso, proponendo a Nicola una giovinetta di buona famiglia. Non otten-nero però alcun esito, perché il loro santo figlio, volendo mantenere il voto di verginità, si rifiutò tenacemen-te, nonostante le numerose insistenze.
Ma, come era costume dell’epoca, la volontà dei figli era tenuta in scarsa considerazione: i genitori imposero a Nicola una ragazza, e stabilirono la data delle nozze. Così facendo, speravano che nel frattempo il figlio avrebbe ceduto ai loro giusti desideri.
Nicola però, per non disubbidire direttamente ai genitori, e forte della parola del Vangelo che dice: “Se qualcuno vuol venire dietro a me e non odia suo padre, sua madre, e la moglie, e i figli, e i fratelli e le sorelle, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26), decide di fuggire da casa. La notte prima delle nozze, nel palazzo dei Politi regna supremo il silenzio; tutti dormono, solo Nicola veglia; quando ad un tratto sente una voce, discesa dal cielo, che gli dice: “Nicola, alzati e seguimi, vieni con me e ti mostrerò un luogo salutare di penitenza nel quale, se vorrai, potrai salvare la tua anima”
Caro lettore, immagina con la tua fantasia quale travaglio interiore abbia dovuto affrontare Nicola nel prendere la decisione: da una parte una bella casa, una bella moglie, dei figli e tutti i beni che i suoi genitori gli avrebbero donato; dall’altra, la semplice vita di eremita.
Come Maria ha detto all’Angelo del Signore: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”; e questo “sì” ha permesso che il mondo fosse salvato dall’Onnipotente; allo stesso modo Nicola ha dato la sua piena disponibilità al Signore, salvandosi anima e corpo, e ottenendo che il Signore lo rivestisse di onore e di gloria.
Il Politi si allontana dalla casa paterna. Aveva risposto prontamente come il giovanetto Samuele, e, camminando lungo sentieri impervi, fra i boschi delle nostre campagne, giunge in una grotta alle pendici dell’Etna: questa, da quel momento, diventerà la sua umile dimora, per tre anni.
La tradizione vuole che essa sia una grotta di scorrimento lavico, ubicata in territorio di Adrano, in contrada “Aspicuddu”. Il pellegrino può oggi ammirare tale grotta all’interno di una dagala, raggiungibile soltanto a piedi, per l’asperità dei percorsi; il paesaggio che gli si presenta è semidesertico, a causa di una colata lavica successiva, attribuita all’anno 1595. Certamente, nel tempo della nostra storia, la grotta poteva essere circondata da boschi fittissimi e da una favolosa fauna.
L’area, dove è ubicato l’ingresso della grotta, è stata comprata, il 17 Dicembre 1926, dal prevosto Pietro Branchina e dal sac. Angelo Bua, rettore pro tempore della chiesa di San Nicolò Politi. Successiva-mente il comune, mentre era podestà di Adrano il sig. Miraglia dott. Vito, con atto pubblico rogato dal se-gretario generale il 17 Agosto 1933, concesse gratuitamente al prevosto Pietro Branchina e al sac. Angelo Bua, rettore pro tempore della chiesa di San. Nicolò Politi, l’uso di mq. 13.890,50 di terreno comunale per la costruzione della strada di accesso alla grotta, e (posto a monte della grotta stessa) mq. 12.043,40 di terreno comunale da servire come punto di concentramento e di sosta per i fedeli che si recano alla grotta, a condi-zione che il secondo terreno non formasse oggetto di commercio.
Con decreto arcivescovile del 1 Marzo 1927, il primo eremo del Santo fu dichiarato monumento sacro dall’arcivescovo di Catania card. Giuseppe Francica Nava. È auspicabile, che in tale luogo sacro si possa in-crementare sempre più la presenza di pellegrini devoti.

 

Verso il Calanna

Il desiderio di perfezione; il bisogno di guida e di frequenza al sacramento della penitenza; la necessità di unirsi all’Amore divino, sacramentalmente, nell’Eucarestia; a ciò unito, l’essere troppo vicino ai genitori, che avevano mire terrene e non gli avrebbero permesso in paese l’aggancio spirituale che cercava: tutto ciò, non gli avrà permesso di restare a lungo nella grotta etnea.

Cercò un luogo, e una guida, dove poter realizzare il suo sogno. La Provvidenza divina lo condusse verso il luogo, dove avrebbe trovato la perfezione: l’eremo sotto il monte Calanna; vicino, il monastero basiliano del Rogato, dove avrebbe conosciuto il suo direttore spirituale, il teologo Cusmano.

Spuntava l'aurora: Nicola parte dalla sua dimora etnea ed intraprende il viaggio per dove la Divina Provvidenza lo aveva destinato. Durante il viaggio, mentre attraversa i boschi, il demonio, in veste di mercante, gli va incontro e lo tenta. Lasciamo spazio alle parole del Caietano: “ dove vai o misero, così solo? Lui risponde: al monte Calanna, presso Arcara, dove sono stato mandato. Il nemico degli uomini riprese: vieni con me, infatti meglio ti accadrà; ti mostrerò le mie città e luoghi, e che ti darò, se avrai obbedito alle mie parole; in cui vivrai colmo di migliori piaceri, molto più lieto che nel monte Calanna.

Udite queste cose, il Beato Nicola, meditando nel suo animo diceva: chi è costui che mi trattiene dal mio viaggio; e mi promette le sue ricchezze e il suo pane che mangerò, e le vesti, e i suoi piaceri, di cui godrò in questo secolo; e mostra verso di me tanta carità; e tosto, richiamando nell'animo la Passione di Cristo, e volgendo gli occhi al cielo: O Signore Gesù Cristo, disse, per le tue cinque piaghe, e per la tua passione, concedi che sfugga ai lacci di questa tentazione.

Finita questa preghiera, fu liberato da  quella molestia e il demonio sparì dai suoi occhi.”

Il Surdi ed altri autori posteriori narrano che il Santo passando dal monastero basiliano di Maniace, abbia incontrato un altro Santo, Lorenzo da Frazzanò. Questo incontro, fra i due santi contemporanei, è comparso negli autori a partire dal Surdi. Il Caietano non riporta questo racconto nella vita del Politi, e nemmeno nella vita di San Lorenzo di Frazzanò. Per questo motivo, è mia opinione che questo incontro non sia avvenuto.

Il passaggio del Politi dal monastero basiliano di Maniace è probabile, anche se non riferito dal Caietano. Sicuramente, Nicola si addentrò verso la Val Démone perché essa pullulava di monasteri basiliani: il più vicino, geograficamente, al territorio di Adrano era il suddetto monastero di Maniace. Nicola, come abbiamo detto, cercava una guida spirituale, in modo da poter raggiungere la perfezione ascetica: in quel monastero, con molta probabilità, non la trovò. Fu indirizzato quindi verso un piccolo monastero, sempre basiliano, che si trovava nei pressi di un piccolissimo villaggio, chiamato Alcara . É ovvio ch’egli non scelse la borgata, la quale in quel tempo contava pochissimi “fuochi”, ma  il monastero nel quale viveva un personaggio, all’epoca famoso per la sua cultura teologica: questi era il Cusmano, monaco dell’ordine di San Basilio. Nicola lo avrebbe scelto, perché lo guidasse alla perfezione religiosa, che era il suo grande desiderio.

Dunque, compiuto il viaggio iniziato, giunse al luogo, il cui nome oggi (è) Acqua Santa”. In questo luogo, vicino circa un chilometro all’eremo, Nicola, sfinito dal lungo viaggio, ebbe sete, e il Signore gli diede l’opportunità di provare la sua fede con successo: invitato dal Signore, col bastone percosse la roccia, e da essa scaturì una sorgente d’acqua, ancor oggi esistente. Molti che hanno bevuto con fede quest’acqua, ed hanno chiesto grazie al Santo sono stati esauditi.

Continuando il viaggio, trovò in quei pressi una spelonca e vi si stabilì.

Oggi il visitatore, guardando dal posto dov’è l’eremo, vede uno stupendo paesaggio.

Vede di fronte la valle del fiume Rosmarino, con la vegetazione che la tappezza irregolarmente; e il letto del piccolo fiume, scendere come una lunga striscia serpeggiante, fra le giogaie dei monti circostanti; più in là, in lontananza, superata la valle, appollaiate in collina, le quattro casucce dell’ex monastero del Rogato. Il Santo doveva attraversare il fiume, per raggiungerle.

In quel tempo il posto doveva essere ancora più suggestivo, perché ripieno di boschi e di una natura ancora selvaggia e incontaminata.

Il monastero, composto da una chiesetta ed un convento per pochi monaci, accoglieva Nicola regolarmente, per la celebrazione eucaristica e la confessione. Il teologo Cusmano, suo confessore, guidò il Santo, come disposto dalla divina Provvidenza, verso la perfezione, all’amore per Gesù Cristo e per la sua santissima madre Maria.

 

Il Miracolo delle pere

L’anacoreta raggiunse la meta della santità in quel luogo di preghiera e di penitenza. Egli prese il piccolo abito di San Basilio, e visse in quel posto più di trent’anni, “Conosciuto totalmente da nessuno, tranne che a pochi uomini religiosi”. Il Caietano ha voluto rilevare che Nicola non era affatto conosciuto dalla gente, ma soltanto da pochi uomini religiosi, cioè dai monaci del Rogato.
Soltanto due donne furono testimoni della sua santità, verso la fine della sua vita. Il Santo ritornava, quasi sicuramente, dal Rogato; era stremato nelle forze e si stava riposando ai bordi del sentiero. Ecco due donne: ritiravansi a casa, dopo aver raccolto in campagna delle pere. Incontrano Nicola, che, vedendole, chiede loro qualche frutto. La prima sgarbatamente gliele nega; la seconda, mossa a compassione, gliene of-fre. Ritornate a casa, la donna sgarbata ebbe l’amara sorpresa di vedere la frutta già marcia; alla donna gene-rosa le pere durarono sane per molti giorni.
Dal Caietano non sono riportati altri incontri.

Morte del Santo

 

Il 17 agosto 1167, Nicola è colto in ginocchio, nella sua spelonca, dal momento di rendere la sua anima al padre: raggiungeva l’Amore che aveva servito ed adorato per tutto il suo pellegrinare sulla terra.
Il racconto del ritrovamento del corpo contiene fatti miracolosi, che il padre gesuita Ottavio Caietano ha riportato in fede ai documenti a lui consegnati dal padre Faranda.
Un contadino, certo Leone, stava pascolando i suoi buoi. I buoi, durante il pascolo, si addentrarono nel bosco vicino, dove c’era la dimora di Nicola.
Leone, il cui cognome, “Rancuia”, è comparso successivamente alla pubblicazione del Caietano, si mise alla ricerca dei buoi perduti. Durante la ricerca, si spinse fino alla grotta di Nicola Politi.
L’eremita era lì, esanime, in ginocchio, con il libro delle preghiere aperto in mano ed il bastone a forma di croce poggiato sulla spalla. Leone, vedendo l’uomo in quella posizione, capì subito che era un uomo di Dio. In principio, però, pensò che l’uomo si fosse addormentato in quella posizione: si portò vicino al cadavere e lo chiamò; non ricevendo alcuna risposta, si avvicinò e lo scosse con la mano destra. Fu grande lo spavento e lo stupore di Leone, quando, a quel contatto, il braccio gli rimase inaridito come un legno secco. Corse immediatamente al villaggio a raccontare l’accaduto ai magistrati, alla gente e al clero. Questi si meravigliano dell’accaduto; si ricordano che poco prima le campane delle chiese alcaresi avevano suonato a festa, da sole e senza alcun motivo apparente: allora collegarono il fatto accaduto a Leone col suono delle campane.
Mossi dalla curiosità di sapere e vedere chi fosse quel santo uomo, guidati da Leone, si portarono nel posto dove si trovava il corpo esanime di Nicola. Appena Leone indicò l’antro dov’era Nicola, il braccio, oggetto del primo prodigio, gli tornò sano come prima. Tutti furono in preda ad un grandissimo stupore.
La gente di Alcara fu certa che quello era un uomo di Dio; e pensò di trasportarne il corpo in paese, per seppellirlo e onorarlo; ma, durante il tragitto, vicino alla chiesa di Sant’Ippolito, al bivio che separava le strade per Alcara e per il monastero del Rogato, il corpo di Nicola incominciò a diventare molto pesante: co-sì, da non poterlo muovere più.
Gli Alcaresi tennero consiglio; avevano deciso di trasportarlo in quella chiesa, ma il corpo di Nicola non si moveva. Quella gente non sapeva più che cosa fare. Non riusciva a spiegare il motivo di quell’altro prodigio. Ma, mentre teneva consiglio, un altro prodigio ancora vi si aggiunse: un bambino ancora in fasce si mise a gridare: “Portate il corpo alla chiesa di S.M. del Rogato”. A questo punto, la gente, ancora incredula di quanto era successo quel giorno, porta il corpo del Santo, che ora si lascia facilmente trasportare, al mo-nastero del Rogato. Il Caietano aggiunge che lì il corpo sarebbe rimasto integro e incorrotto per 336 anni, fi-no a quando verrà trasportato in città, come vedremo in seguito.
Dal racconto fatto si deduce che in Alcara la venerazione del Santo è incominciata da subito dopo la sua morte.

Miracolo della siccità

 

 La vita riportata dal Caietano è stata scritta dal padre Cusmano, confessore di Nicola.
I miracoli, riportati dallo stesso autore, sono stati aggiunti in seguito, alla vita del Cusmano.
Fino al maggio del 1503 gli Alcaresi avevano venerato il Santo nel monastero di S. Maria del Rogato. Così quando nel maggio di quell’anno si trovarono con la terra arida, e col pericolo di perdere per sete il bestiame dei loro allevamenti, perché una grande siccità si era abbattuta sulla loro terra, decisero di pregare Nicola, affinchè intercedesse presso Dio ed ottenesse tanta pioggia da salvare i loro raccolti ed il loro be-stiame. Perciò il 10 maggio di quell’anno si recarono al Rogato, che era ormai abbandonato per la mancanza di monaci basiliani, presero il santo corpo e lo posero sopra l’altare. Dopo fervorose preghiere, scese giù una grande pioggia. Ringraziando il Santo per il miracolo ricevuto, tutti gli intervenuti baciarono le reliquie. Al-lora avvenne che una donna malfamata osò fare la stessa cosa; ma, al suo accostarsi, quel santo corpo si tirò indietro e non si lasciò toccare: ciò avvenne per la sua conversione.
Celebrato il sacrificio della S. Messa, portarono in processione il corpo. Mentre riportavano le reliquie nella chiesa di S. M. del Rogato, proprio sulla soglia della chiesa, il corpo del Santo diventò pesante. Poiché i portatori non riuscirono a stare sotto quel peso, si fermarono ed invocarono la misericordia e la pietà di Dio. Lì avvenne un altro miracolo: in mezzo a quel popolo c’era un certo Giovanni Spitaleri, che da gran tempo soffriva di ernia. Questi ad un tratto si mise a gridare: “Misericordia, sono guarito”. Tutti sapevano che questo signore era ammalato e tutti ora lo vedevano guarito. Anche altri malati di ernia, che invocarono il Santo in mezzo alla folla, gridarono che erano stati guariti.
Visti i prodigi che il Signore operò in quel giorno, un anonimo frate dell'ordine di S. Francesco, “uomo religioso e buono”, dice il Caietano, da un posto elevato fa una predica.
Alla fine posarono le reliquie al loro posto e ritornarono a casa ripieni di fervore e fede verso il loro protettore.
A questo punto del racconto, il Caietano dice quali furono le conseguenze della predica del monaco francescano: quelle di assumere l’onere, da parte della città di Alcara, di spendere qualunque somma di de-naro, affinchè fosse data dal Sommo Pontefice la facoltà di venerare le reliquie del loro Santo.
Pertanto, scelti due uomini esperti nelle persone del sac. Antonino Rundo e del sig. Giovanni Cutto-ne, affidarono loro una petizione da portare a Roma presso la Santa Sede.
Il Caietano non dice quando i messi partirono. Ma il Surdi, nel suo libro sul Santo, a pag. 395 para-grafo 2, dice che partirono per Roma il giorno seguente (11 maggio 1503).
Lo stesso autore, a pag. 319 e seguenti, continua dicendo che i fatti del 1503 furono appresi dagli Adornesi; i quali, mossi da una devota gelosia, pensarono di andare a prendere le reliquie del Santo, dopo avere accertato lo stato dei luoghi dove si trovavano conservate. Essendo il convento basiliano a due miglia dal paese ed in stato di abbandono, animati di coraggio, gli Adornesi andarono al Rogato e presero il Sacro Corpo. Indi ripartirono per Adernò e, convinti di aver preso la strada del ritorno, invece, per prodigio, si ri-trovarono a girare intorno al Rogato. Nel frattempo, mossa da mano invisibile, la campana del convento in-cominciò a suonare. Gli Alcaresi, svegliati da quel segno, in fitta schiera accorsero per difendere il loro dirit-to. A questo punto gli Adornesi, scoperti, abbandonarono il Santo Corpo e fuggirono.
Allora gli Alcaresi, resisi conto che il Rogato costituiva un facile accesso per eventuali ladri, delibe-rarono di portare il Sacro Corpo all’interno delle proprie mura. Il prete Pietro Rosato, Giovanni Gamburdo, Giovanni Sciarra, Marino Fiorito, un altro Giovanni Sciarra e tre altri di cui non si ricordano più i nomi, la sera seguente al tentato sacrilegio, con grandissima segretezza, andarono al Rogato e presero riverentemente il corpo del Santo. “Il Santo senza mostrarsi, come altre volte ritroso, con ogni facilità si lascia levar, e tra-sportare non solo, ma con una maravigliosa luce li accompagna” Era loro intenzione metterlo nella Chiesa Madre, ma essa era in corso di costruzione, per cui lo posero all’interno della chiesa di San Pantaleone.
Così all’incirca si esprime il Surdi.

Libri su Adrano
Chiese ...
Museo ...
Foto Antiche